ECCE HOMO
Serie: Arte sacra 1992 – 2008
(1992) Recensione
Patrizio Affetti
Sono stato testimone dello sviluppo di un lavoro affascinante e misterioso.
Ho assistito alla nascita dell’idea e alla sua elaborazione. Ho colto il momento in cui la figura elegante e delicata di un Cristo del Cimabue si è fatta strada nelle elaborazioni mentali dell’artista. Ero presente e coinvolto nei primi giorni, quando è iniziata la ricerca dei materiali. Conoscevo il piano di lavoro e ne ho visto tutte le fasi: dai bozzetti alla preparazione delle tavole, il lavoro di falegnameria, la pittura, la stesura delle vernici finali, fino alla fase di assemblaggio dell’opera. Durante tutti questi mesi ero costantemente messo a conoscenza delle problematiche che si presentavano strada facendo, cosicché il mio interesse cresceva, e con esso la trepidante attesa di vedere le tavole finite e riunite assieme.
Conoscevo infine le motivazioni principali di questa opera:
Una croce formata da sei tavole che chiudendosi formano un cubo. La croce, simbolo di un uomo che ha vissuto e sofferto secondo i propri valori interiori, ha una pittura interna, che a me piace definire come “l’uomo incontaminato”, con le sue sofferenze, i suoi limiti ma anche e, soprattutto, la sua bellezza, i suoi valori universali, il suo amore e la sua sensibilità. Però se più forze spingono tutte con lo stesso intento le tavole verso l’accartocciamento su se stessa della croce, allora quest’ultima si trasforma in un cubo. E più queste forze spingono e/o più è debole la croce, e più quest’ultima si trasforma in un cubo, nascondendo in misura sempre maggiore il contenuto delle facce interne, finché, a cubo completamente chiuso, si potranno vedere solo le facce esterne, e di quello che continua comunque a esserci dentro non c’è più traccia. Nel movimento possibile delle tavole di ECCE HOMO, ci sono infinite posizioni fra apertura completa e chiusura totale. In questo arco si può quindi rappresentare simbolicamente il grado di libertà spirituale di ogni essere umano. Infine la pittura esterna, in conflitto con quella interna, può simboleggiare le forze che limitano la libertà di spirito dell’uomo, impedendogli di vivere “naturalmente”.
Mi capita spesso di riflettere su questi argomenti e di prendere a prestito la simbologia di questo cristo. Ma quello che mi suggerisce questa opera, più di ogni altra cosa, è che nessun può apprezzare e godere di un “cubo” troppo chiuso che nasconde e deforma quella bellissima pittura che c’è dentro. Troppo spesso si incontrano uomini che non essendo consapevoli delle bellissime cose che hanno dentro, non vorranno mai aprire il “proprio cubo”.
Con tutto ciò, quando ho visto ECCE HOMO per la prima volta sospeso in aria privo di ogni contatto con alcunché di fisico, esso mi appariva diverso da quello che sapevo e mi aspettavo. Mi sono così accorto che una magia si era compiuta. Tutto il lavoro materiale e mentale si era trasformato in un risultato che non era la somma dei singoli elementi. Avevo trascurato l’elemento costruttivo principale di questo oggetto: la personalità dell’artista, la sua sensibilità, il suo essere spirituale, il suo misterioso universo interiore. Avevo la netta sensazione di avere davanti a me Tamara, e non il suo lavoro. Credo che ancora una volta si sia verificato uno di quei magici fenomeni che fanno dell’arte, dell’impegno creativo, la più congeniale delle attività per la natura umana: un artista aveva trasferito qualcosa della propria essenza nell’oggetto creato, svelando sé stessa e le proprie emozioni.
Patrizio Affetti
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